Molecole Organiche ai Confini della Galassia

Molecole Organiche ai Confini della Galassia

Nel corso di due nuovi studi, un team di astronomi ha utilizzato l’array di telescopi ALMA per individuare la firma di molecole organiche in 5 nebulose planetarie, nonchè in 20 nubi molecolari situate ai bordi esterni della nostra galassia. La scoperta di molecole che costituiscono i mattoni fondamentali della vita in zone così lontane dal centro galattico suggerisce che la chimica organica potrebbe essere ancora prevalente nelle regioni più esterne della Via Lattea.

Le nebulose planetarie si formano quando stelle simili al Sole giungono al termine della loro vita, gonfiandosi in giganti rosse per poi espellere gli strati esterni nello spazio. La nube derivate da questo processo viene scolpita e illuminata dalla calda radiazione della densa stella centrale, destinata a trasformarsi in una piccola e fioca nana bianca. Questo processo di espulsione degli strati gassosi esterni genera spesso forme sferiche, ovali, talvolta a doppio lobo, ad anello, oppure ancora più complesse. Per lungo tempo si è pensato che la feroce radiazione stellare fosse in grado di spezzare le molecole espulse nel mezzo interstellare dalla stella morente, riducendole in forma atomica. Tuttavia, la recente rilevazione di molecole organiche nelle nebulose planetarie ha dimostrato che non è così. Utilizzando l’Atacama Large Millimeter/submillimeter Array (ALMA), un team di astronomi ha osservato emissioni radio da acido cianidrico, ione formile e monossido di carbonio all’interno di cinque nebulose planetarie: M2-48, M1-7, M3-28, K3-45 e K3-58. ALMA, situato nelle Ande cilene, è il telescopio più potente a nostra disposizione per studiare l’Universo a lunghezze d’onda millimetriche e submillimetriche, all’estremo di lunghezze d’onda più corte delle onde radio.

Le nuove osservazioni condotte da Lucy Ziurys e dai suoi collaboratori dell’University of Arizona supportano l’ipotesi che le nebulose planetarie arricchiscano il mezzo interstellare con molecole che servono come ingredienti base per la formazione di nuove stelle e pianeti. Si ritiene che le planetarie forniscano il 90 percento del materiale nel mezzo interstellare, con le supernove che aggiungono l’ulteriore 10 percento. “Si pensava che le nubi molecolari, da cui si formano nuovi sistemi stellari, dovessero iniziare da zero e formare queste molecole a partire da atomi”, afferma Ziurys. “Ma se il processo ha invece inizio a partire da molecole già formate, questo dovrebbe accelerare considerevolmente l’evoluzione chimica nei sistemi stellari in formazione”.

Le emissioni da molecole osservate dal team delineano le forme delle nebulose planetarie, osservate in precedenza soltanto in luce visibile. In alcuni casi le firme molecolari hanno rivelato formazioni mai individuate, mostrando la complessa geometria del materiale espulso dalla stelle con barre, lobi e archi. Secondo i ricercatori la complessa geometria delle nebulose potrebbe derivare da particolari processi che hanno a che fare con la nucleosintesi, la creazione di nuovi elementi all’interno di una stella. “Questo vuol dire che in una stella morente, sferica fino alla sua fase finale, avvengono alcune dinamiche molto interessanti una volta raggiunto lo stadio di nebulosa planetaria, che modificano quella forma sferica”, spiega Ziurys.

È possibile che un flash dell’elio, che avviene in un caldo guscio convettivo attorno al nucleo di una stella morente, possa fornire una sorgente di sintesi nucleare esplosiva a distanza dal centro della stella, col risultato di produrre le forme complesse di alcune nebulose. Molte nebulose planetarie rappresentano una sorta di enigma. “È sempre stato un mistero per gli astronomi il meccanismo che porta alla trasformazione di una geometria sferica in queste geometrie multipolari. Le molecole che abbiamo osservato tracciano le geometrie polari molto bene, quindi speriamo che queste osservazioni ci forniscano indizi sulla formazione delle nebulose planetarie”.

Nel corso di un altro studio, condotto dallo stesso team a guida di Lilia Koelemay, riferisce la scoperta di molecole organiche anche in regioni esterne della Via Lattea, oltre due volte più distanti dal centro galattico rispetto alla regione nota come Zona Abitabile Galattica. Si ritiene che questa zona, che include anche il Sistema Solare, presenti condizioni favorevoli per la nascita della vita. La “zona abitabile” della Via Lattea dovrebbe estendersi fino a circa 32.600 anni luce dal centro galattico. Utilizzando il telescopio dell’University of Arizona a Kitt Peak il team ha osservato 20 nubi molecolari nel braccio del Cigno della Via Lattea per individuare la firma spettrale del metanolo, una molecola organica di base. Con una temperatura di 20 gradi Kelvin, queste nubi sono estremamente fredde e distanti dal centro galattico tra 40.000 e 75.000 anni luce. I ricercatori hanno scoperto la presenza di metanolo in tutte e 20 le nubi.

L’individuazione di queste molecole organiche ai confini della galassia potrebbe significare che la chimica organica è ancora prevalente nelle regioni esterne della Via Lattea e che la Zona Abitabile Galattica potrebbe estendersi ben più lontano dal centro galattico rispetto a quanto previsto dalla teoria comune. La nozione di zona abitabile della galassia si basa sull’idea che, perché la vita possa prosperare, un sistema planetario non debba essere troppo vicino al centro galattico, in cui la densità stellare è estremamente alta e la radiazione intensa. Ma non dovrebbe essere nemmeno troppo lontano dal centro galattico, perché potrebbe esservi scarsità di elementi fondamentali per la vita, come carbonio, ossigeno e azoto.

Il team sta cercando la presenza di altre molecole organiche che contengano gruppi funzionali noti per essere alla base della costruzione delle biomolecole. La scoperta di simili molecole nel mezzo interstellare è di grande interesse, dal momento che secondo gli scienziati rappresentano candidate promettenti per lo sviluppo della vita. Se le molecole organiche sono già presenti nei sistemi planetari in formazione, possono condensare sulla superficie di asteroidi per poi venire rilasciate sulla superficie di giovani pianeti, dove possono eventualmente costituire i mattoni fondamentali per l’emergere di forme di vita. Secondo il team, il fatto che molecole come il metanolo siano presenti a grande distanza dal centro galattico espande la prospettiva di abitabilità al di là di quella che viene considerata la zona abitabile e questa scoperta potrebbe rivelarsi davvero entusiasmante.

Nell’immagine la Nebulosa Twin Jet, un esempio di planetaria bipolare, ripresa dal telescopio Hubble

Credit ESA/Hubble & NASA/Judy Schmidt

https://news.arizona.edu/story/organic-molecules-offer-clues-about-dying-stars-and-outskirts-milky-way