Hubble individua stelle titaniche

Hubble individua stelle titaniche

Gli astronomi utilizzando le funzionalità uniche del telescopio Hubble hanno identificato nove stelle titaniche con masse oltre 100 volte la massa del nostro Sole nell’ammasso stellare R136. Questo lo rende il più grande campione di stelle molto massicce identificate fino ad oggi. I risultati, che saranno pubblicati su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, sollevano molte nuove questioni circa la formazione delle stelle massicce.

Un team internazionale di scienziati ha utilizzato osservazioni combinate riprese con la camera Wide Field 3 (WFC3) e con lo Space Telescope Imaging Spectrograph (STI) a bordo del telescopio Hubble per analizzare con successo il giovane ammasso stellare R136 nello spettro ultravioletto per la prima volta. R136 si estende per solo pochi anni luce, e si trova nella Nebulosa Tarantola, all’interno della Grande Nube di Magellano, a circa 170 000 anni luce di distanza.

Oltre a trovare dozzine di stelle con massa superiore a 50 masse solari, questo nuovo studio è stato in grado di rivelare un numero totale di nove stelle molto massicce nell’ammasso, tutte più di 100 volte più massicce del Sole. Tuttavia, l’attuale detentrice del record, la stella R136a, mantiene il suo posto come la stella più massiccia conosciuta nell’Universo, con una massa stimata di più di 250 masse solari. Le stelle rilevate non solo sono estremamente massicce, ma anche estremamente luminose. Insieme, queste nove stelle superano di 30 milioni di volte la luminosità del nostro Sole.

Gli scienziati sono stati anche in grado di individuare flussi in uscita da questi colossi, più facilmente analizzabili nell’ultravioletto. Queste stelle espellono fino a una massa terrestre di materiale al mese ad una velocità vicina all’uno per cento della velocità della luce, con il risultato di una conseguente estrema perdita di massa durante tutta la loro breve vita.

“La capacità di distinguere la luce ultravioletta da una regione così eccezionalmente affollata nelle sue parti componenti è stata resa possibile solo grazie  agli strumenti a bordo di Hubble”, spiega Paul Crowther dell’Università di Sheffield, Regno Unito, e autore principale dello studio. “Insieme ai miei colleghi, vorrei riconoscere il lavoro prezioso svolto dagli astronauti, durante l’ultima missione di manutenzione del telescopio Hubble: hanno ripristinato STIS e messo la propria vita a rischio per il bene della scienza futura”.

Nel 2010 Crowther e alcuni suoi collaboratori avevano dimostrato l’esistenza di quattro stelle all’interno dell’ammasso R136, ciascuna con una massa di più di 150 volte la massa del Sole. A quel tempo le proprietà estreme di queste stelle furono una sorpresa in quanto superavano il limite massimo di massa per le stelle generalmente accettato in quel momento.

Ora, questo nuova scoperta ha dimostrato che ci sono altre cinque stelle con masse superiori alle 100 masse solari in R136. I risultati sollevano anche molte nuove questioni circa la formazione delle stelle massicce, dal momento che l’origine di questi colossi non è ancora chiara. Saida Caballero-Nieves, co-autrice dello studio, spiega: “Ci sono ipotesi che questi mostri derivino dalla fusione di stelle meno estreme in sistemi binari stretti.
Ma da quello che sappiamo circa la frequenza delle fusioni massicce, questo scenario non può tenere conto di tutte le stelle massicce che vediamo in R136, quindi sembrerebbe che tali stelle possano avere origine dal processo di formazione stellare.”

Al fine di trovare le risposte circa l’origine di queste stelle il team continuerà ad analizzare la serie di dati raccolti. L’analisi delle nuove osservazioni dello strumento STIS permetterà loro di cercare sistemi binari stretti nell’ammasso R136, che potrebbero produrre buchi neri binari massicci, che finirebbero per fondersi, producendo onde gravitazionali. “Ancora una volta, il nostro lavoro dimostra che, pur essendo in orbita da oltre 25 anni, ci sono alcune aree della scienza in cui Hubble è davvero unico”, conclude Crowther.
[ Barbara Bubbi ]

http://www.spacetelescope.org/news/heic1605/

Credit: NASA, ESA, P Crowther (University of Sheffield)