03 Ago 2018 La Vera Epopea della Stella che non Volle Morire
A metà del XIX secolo gli astronomi, osservando il cielo notturno nell’emisfero australe, notarono qualcosa di strano: nel corso di pochi anni una stella chiamata Eta Carinae diventò sempre più brillante, superando infine in luminosità tutte le altre stelle ad eccezione di Sirio, prima di affievolirsi nel successivo decennio. Ancora oggi un alone di mistero avvolge questa stella colossale e straordinaria, che sembrò esplodere come supernova, ma che in realtà era ancora lì, a risplendere come se in effetti non volesse morire.
Il periodo successivo alla “Grande Eruzione” ha reso Eta Carinae una celebrità tra gli oggetti noti nell’Universo per la loro particolare bellezza. Una nube di gas e polveri a forma di clessidra avvolge la stella e la sua compagna. Eta Carinae infatti è in realtà una stella binaria, formata da due stelle colossali in orbita una attorno all’altra. Nota come Nebulosa Omuncolo (Homunculus Nebula), la fotogenica nube è formata da materiale stellare scagliato nello spazio durante la famosa eruzione, che si espande ad alta velocità, impattando su gas e polveri circostanti.
Anche se i moderni astronomi non possono andare indietro nel tempo, fino a metà del XVIII secolo, per osservare cosa accadde durante l’eruzione esplosiva della stella, possono utilizzare una macchina del tempo naturale, grazie al fatto che la luce viaggia nello spazio ad una velocità finita. Parte della luce dovuta all’esplosione, infatti, è “rimbalzata” sulla polvere interstellare, seguendo percorsi alternativi e giungendo appena oggi sulla Terra. Questo effetto viene chiamato “eco di luce”: la luce si comporta come una cartolina perduta dalle poste e arrivata a casa nostra soltanto 170 anni più tardi. Nell’analizzare questi echi di luce, gli astronomi hanno avuto una sconcertante sorpresa. Le nuove misurazioni dell’eruzione degli anni 40 del XIX secolo rivelano materiale che si espande a velocità da record, fino a 20 volte più elevate del previsto. Le velocità osservate ricordano le più alte velocità del materiale espulso in seguito a una vera esplosione di supernova, piuttosto che i venti stellari più graduali e delicati espulsi dalle stelle massicce prima di morire.
Sulla base di questi dati i ricercatori suggeriscono che l’eruzione possa essere stata originata da un violento processo, raro e particolare: una lotta gravitazionale prolungata tra tre turbolente stelle compagne, che si è conclusa con la distruzione di una stella e la formazione di un nuovo sistema binario. Questo brutale litigio stellare sarebbe culminato con una violenta esplosione, quando Eta Carinae divorò una delle sue compagne, spedendo nello spazio oltre dieci masse solari durante il devastante processo. La massa espulsa creò i giganteschi lobi bipolari che oggi possiamo osservare. I risultati dello studio sono stati riportati in due articoli realizzati da un team guidato da Nathan Smith dell’University of Arizona e Armin Rest dello Space Telescope Science Institute in Baltimore, Maryland.
Gli echi di luce sono stati rilevati in immagini nell’ottico ottenute sin dal 2003 con telescopi al Cerro Tololo Inter-American Observatory in Cile. Utilizzando i telescopi al Las Campanas Observatory e al Gemini South Observatory, il team ha analizzato la luce stellare per misurare la velocità di espansione del materiale espulso, e ha ricavato l’impressionante valore di oltre 30 milioni di chilometri all’ora, abbastanza veloce da viaggiare dalla Terra a Plutone in pochi giorni. Le osservazioni offrono nuovi indizi sul mistero che avvolge la titanica eruzione che rese Eta Carinae la seconda stella più luminosa in cielo tra il 1837 e il 1858, e sui processi che portarono la stella straordinaria a diventare una delle più massicce della nostra galassia.
Le stelle massicce normalmente vanno incontro alla loro fine nel corso di un evento esplosivo, quando il loro nucleo collassa per formare un buco nero o una stella di neutroni. Qui abbiamo una stella che sembrava essere dipartita con un evento esplosivo, ma questo non è bastato a distruggerla. Una possibilità per spiegare l’energia colossale coinvolta nell’evento è la fusione di due stelle, uno scenario che sembra combaciare con tutti i dati ricavati sul sistema Eta Carinae. Secondo gli scienziati la coppia stellare che oggi osserviamo, un tempo era in realtà una tripletta stellare.
Nello scenario proposto, due stelle massicce erano in orbita una attorno all’altra, con una terza compagna in orbita più lontana. Quando la stella più colossale della coppia binaria stretta giunse al termine della sua vita, iniziò ad espandersi e a scaricare gran parte del suo materiale addosso alla compagna leggermente più piccola. Grazie a questo pasto stellare, la compagna si è irrobustita tanto da arrivare all’attuale massa di circa 100 masse solari. La stella donatrice del lauto pasto oggi ha una massa di circa 30 masse solari e si è vista strappare via gli strati gassosi esterni, lasciando esposto il suo caldo cuore di elio. Una simile stella rappresenta uno stadio avanzato dell’evoluzione delle stelle massicce. Il trasferimento di massa alterò il bilancio gravitazionale del sistema, e la stella parzialmente divorata si mosse più velocemente lontano dalla sua vorace compagna, fino a viaggiare tanto lontano da interagire con la terza stella più esterna al sistema, spedendola verso l’interno.
Quella stella sventurata, vittima della lotta titanica avvenuta tra le sue due colossali compagne, venne costretta a fondersi con la sua partner più massiccia, producendo nel corso del violento processo un deflusso di materiale. Nelle fasi iniziali della fusione, il materiale espulso era denso e si espanse in modo relativamente lento, man mano che le due stelle spiraleggiavano una verso l’altra. Poi avvenne un evento esplosivo, quando le due stelle più interne si scontrarono, espellendo materiale che si mosse 100 volte più velocemente. Questo materiale alla fine impattò su quello espulso più gradualmente, riscaldandolo e facendolo brillare, e generando la sorgente luminosa di molte eruzioni storiche osservate dagli astronomi nel corso del tempo. Nel frattempo, la stella più piccola della coppia si stabilizzò in un’orbita ellittica, passando attraverso gli strani esterni della sua compagna gigantesca ogni 5,5 anni. Questa interazione ravvicinata genera onde d’urto che emettono radiazione X.
Una comprensione migliore dei processi fisici alla base delle eruzioni ripetute di Eta Carinae può portare nuova luce sulle complesse interazioni tra stelle binarie e multiple, fondamentali per la comprensione dell’evoluzione e della morte delle stelle massicce. Il sistema di Eta Carinae si trova a 7500 anni luce di distanza nella Nebulosa della Carena, una vasta regione di formazione stellare visibile nei cieli australi. I due studi relativi a questa incredibile epopea cosmica sono stati pubblicati su The Monthly Notices of the Royal Astronomical Society.
[ Barbara Bubbi ]
Nell’immagine la Nebulosa Omuncolo, creata dalla grande eruzione di Eta Carinae
Credit: NASA, ESA, and the Hubble SM4 ERO Team