Quando un Buco Nero Divora una Stella

Quando un Buco Nero Divora una Stella

Una stella vagante che capita in prossimità di un buco nero, tanto da venire distrutta in seguito all’infausto incontro, è uno scenario davvero estremo. Un team di astronomi ha analizzato la radiazione X emessa durante un evento di distruzione mareale per misurare sia la massa che la velocità di rotazione di un buco nero, catturato nell’atto di divorare una stella.

L’immensa gravità di un buco nero è in grado di fare a pezzi una stella sventurata che si avvicina troppo; nel corso di un simile evento, chiamato distruzione mareale, una pioggia di detriti stellari cade verso il divoratore cosmico e si raccoglie in un disco di accrescimento, che va ad alimentare il buco nero. Il violento processo genera colossali esplosioni di energia in tutto lo spettro elettromagnetico. Gli scienziati hanno osservato queste eruzioni in banda ottica, ultravioletta, X, e occasionalmente in banda radio. Si ritiene che la sorgente dell’emissione di radiazione X sia il materiale ultra-caldo nelle regioni più interne del disco di accrescimento circostante il buco nero.

In uno studio pubblicato su The Astrophysical Journal, un team di astronomi guidato da Sixiang Wen dello Steward Observatory, University of Arizona, ha utilizzato la radiazione X emessa da un evento di distruzione mareale noto come J2150, al fine di misurare per la prima volta sia la massa che la rotazione di un buco nero. Nell’evento è coinvolto un buco nero di massa intermedia situato a circa 800 milioni di anni luce da noi. I cosiddetti buchi neri di massa intermedia (intermediate-mass black holes, IMBH) rappresentano una sorta di nesso mancante nell’evoluzione dei buchi neri e sono molto rari da individuare. Sono più piccoli dei ben noti buchi neri supermassicci, ma ben più grandi dei buchi neri di massa stellare, che hanno origine dal collasso di una stella massiccia. “Il fatto che siamo stati in grado di catturare questo buco nero nell’atto di divorare una stella offre un’opportunità unica di osservare qualcosa che altrimenti risulterebbe invisibile”, spiega Ann Zabludoff, tra gli autori dello studio. “Inoltre analizzando il lampo prodotto dall’evento siamo riusciti a comprendere meglio questa categoria elusiva di buchi neri, che potrebbero rappresentare gran parte dei buchi neri al centro delle galassie”.

Analizzando nuovamente i dati in banda X e confrontandoli con modelli teorici, gli autori dello studio hanno dimostrato che il lampo ha avuto origine effettivamente dall’incontro tra una sventurata stella e un buco nero di massa intermedia, con massa circa 10.000 volte quella solare. “L’emissione X dal disco interno formato dai detriti della stella ha reso possibile dedurre massa e rotazione del buco nero, nonché classificare l’oggetto”, aggiunge Sixiang Wen, a guida dello studio. Abbiamo osservato decine di eventi di distruzione mareale al centro di grandi galassie dotate di buchi neri supermassicci, ma ne abbiamo osservati soltanto una manciata nel cuore di piccole galassie che potrebbero contenere buchi neri di massa intermedia. Tuttavia, in precedenza i dati non erano così dettagliati da permettere di dedurre chiaramente che uno degli eventi di distruzione mareale fosse in effetti alimentato da un buco nero intermedio.

“Grazie a moderne osservazioni astronomiche sappiamo che i centri di quasi tutte le galassie simili o più grandi della Via Lattea ospitano buchi neri supermassicci”, afferma Nicholas Stone, tra gli autori dello studio. “Questi mostri hanno dimensioni tra 1 milione e vari miliardi di volte quella del Sole, e diventano potenti sorgenti di radiazione elettromagnetica quando una quantità eccessiva di gas interstellare ricade nelle loro vicinanze”. La massa di questi mostruosi oggetti è correlata con la massa totale della galassia che li ospita. Ma sappiamo ancora molto poco sull’esistenza di buchi neri al centro di galassie più piccole della Via Lattea. Nonostante vi siano molte differenti teorie, le origini dei buchi neri supermassicci rimangono ignote e i buchi neri di massa intermedia potrebbero rappresentare i “semi” da cui cresceranno i buchi neri supermassicci.

Uno dei successi del team è stato quello di calcolare il tasso di rotazione del buco nero: questa misurazione porta con sè indizi sulla crescita dei buchi neri e forse sulla fisica delle particelle in generale. Il buco nero ha una rotazione veloce, ma non la più veloce possibile. “È possibile che il buco nero sia nato così e non abbia subìto molti cambiamenti dalla sua formazione, oppure che due buchi neri intermedi si siano fusi recentemente a formarne uno solo”, afferma Zabludoff. “Sappiamo che la rotazione misurata esclude scenari che prevedono una crescita del buco nero per lungo tempo dovuta ad accrescimento continuo di gas, oppure che prevedono molti “bocconi” di gas inglobati rapidamente da direzioni casuali”.

In aggiunta, le misurazioni del tasso di rotazione permettono agli astrofisici di testare alcune ipotesi sulla natura della materia oscura. Tra le particelle ipotetiche candidate a rappresentare questa elusiva e invisibile sostanza, vi sono i bosoni ultraleggeri. “Se queste particelle esistessero e avessero una massa in un certo range, dovrebbero impedire ai buchi neri di massa intermedia di raggiungere un’elevata velocità di rotazione. Ma il buco nero in J2150 ruota rapidamente”. Pertanto le misurazioni tendono a rigettare un’ampia classe di teorie relative ai bosoni ultraleggeri. “Se verrà fuori che gran parte delle galassie nane contiene buchi neri di massa intermedia, allora questi buchi neri caratterizzeranno la frequenza degli eventi di distruzione mareale”, conclude Stone. “Confrontando l’emissione in banda X proveniente da questi brillamenti con modelli teorici, potremo condurre un censimento della popolazione di buchi neri intermedi nell’Universo”. Ma, per far questo, occorrerà osservare molti più eventi di distruzione mareale tramite telescopi di nuova generazione.

Nell’immagine rappresentazione artistica del buco nero e della stella compagna, insieme con il disco di accrescimento (in arancio) e la corona (in blu)
Credit Aurore Simonnet and NASA’s Goddard Space Flight Center

https://news.arizona.edu/story/what-it-looks-when-black-hole-snacks-star