Teorie Cosmologiche alla Prova con gli Ammassi di Galassie

Teorie Cosmologiche alla Prova con gli Ammassi di Galassie

Un nuovo studio dell’University of Bonn, basato sull’analisi di ammassi galattici, prende in esame la corrispondenza tra le attuali osservazioni e il modello standard della cosmologia.

Dati recenti rappresentano un mistero per gli astrofisici: sembra che a partire dal Big Bang si siano formati nel corso del tempo meno ammassi di galassie del previsto. I fisici dell’University of Bonn hanno appena confermato questa ipotesi. Lo studio è parte di una serie di 20 pubblicazioni apparse su Astronomy and Astrophysics nell’ambito del progetto XXL, il più grande censimento di ammassi galattici realizzato a partire da osservazioni del telescopio XMM-Newton dell’ESA. L’ultimo rilascio di dati della XXL Survey comprende informazioni su ben 365 ammassi di galassie, il cui studio è fondamentale per indagare sulla struttura e sull’evoluzione del cosmo.

Più o meno 13,8 miliardi di anni fa il Big Bang ha segnato l’inizio del nostro Universo. Da allora lo spazio si è espanso ad un tasso inconcepibile, e così anche la nebbia diffusa in cui la materia si trovava distribuita quasi uniformemente, ma non del tutto: in alcune regioni la nebbia era un poco più densa che in altre. Come risultato, queste aree hanno esercitato un’azione gravitazionale leggermente più forte e hanno attratto gradualmente materiale circostante. Nel corso del tempo la materia si è addensata sempre più, mentre lo spazio tra questi addensamenti diventava gradualmente più privo di materia. Nel giro di oltre 13 miliardi di anni il risultato è stata la formazione di una struttura simile a una spugna: grandi “vuoti” di materia separati da aree più piccole all’interno delle quali si sono addensate migliaia di galassie: gli ammassi galattici.

Il modello standard della cosmologia descrive in questo modo la storia dell’Universo. Tuttavia “nuove evidenze osservative suggeriscono che la materia sia oggi distribuita in modo differente rispetto alle previsioni della teoria”, spiega Florian Pacaud dell’University of Bonn. Tutto iniziò con i dati del satellite Planck dell’ESA, che misura la radiazione di fondo a microonde, il bagliore residuo del Big Bang contente informazioni fondamentali sulla distribuzione della materia nel giovane Universo, 380.000 anni dopo il Big Bang. Secondo i dati di Planck, questa distribuzione iniziale era tale che, nel corso del tempo cosmico, avrebbe dovuto formarsi un numero di ammassi galattici superiore a quello che osserviamo oggi.

“Abbiamo misurato con un satellite nei raggi X il numero di ammassi di galassie a varie distanze da noi”, continua Pacaud. La luce da ammassi remoti ha viaggiato per miliardi di anni prima di raggiungerci, quindi oggi osserviamo come si presentavano quando l’Universo era ancora giovane. Gli ammassi vicini, al contrario, vengono osservati come erano molto più recentemente. “Le nostre misurazioni confermano che gli ammassi si sono formati troppo lentamente”, spiega Pacaud. Anche se esiste una notevole discrepanza tra le misurazioni e le previsioni, l’incertezza statistica nello studio attuale non è ancora abbastanza forte da porre realmente in dubbio la teoria.

Tuttavia i ricercatori si aspettano di ottenere risultati sostanzialmente più vincolanti dallo stesso progetto nei prossimi tre anni. Questo permetterà di rivelare infine se il modello standard debba o meno essere rivisto. Lo studio indaga inoltre sulla natura dell’enigmatica energia oscura, la misteriosa costituente del cosmo che causa l’espansione accelerata dell’Universo. Il modello standard presuppone che la “quantità” di energia oscura, la costante cosmologica, sia rimasta la stessa sin dal Big Bang. “Le nostre misurazioni supportano questa tesi, anche se dovremmo ottenere in un prossimo futuro risultati più precisi”, conclude Pacaud.
[ Barbara Bubbi ]

L’immagine composita nei raggi X (in viola), nell’ottico e nell’infrarosso, mostra l’ammasso di galassie XLSSC 006.
CREDIT ESA/XMM-Newton (X-rays); CFHT (optical); XXL Survey

https://eurekalert.org/pub_releases/2018-10/uob-occ100418.php