Un Serpente Cosmico per Rivelare Antiche Galassie

Un Serpente Cosmico per Rivelare Antiche Galassie

L’immagine di una galassia distante ben 6 miliardi di anni luce appare sinuosa e allungata come un serpente in questa straordinaria ripresa del telescopio Hubble. L’analisi dei dati da parte di ricercatori dell’Universita di Ginevra ha permesso di scoprire nuovi indizi sui meccanismi di formazione stellare nelle antiche galassie.

Non disponiamo ancora di una comprensione completa dei meccanismi fondamentali che regolano la formazione stellare nelle galassie, dalla materia interstellare alle nubi diffuse distribuite nello spazio, il cui collasso gravitazionale porta alla nascita di stelle all’interno di grandi ammassi stellari. Gli scienziati stanno indagando sulla possibiltà che nel giovane Universo i processi all’interno delle galassie fossero ben diversi da quelli delle galassie più recenti. Le osservazioni di galassie remote hanno portato a ipotizzare che la dimensione e la massa delle nursery stellari più antiche fossero di gran lunga maggiori rispetto a quelle delle loro controparti locali. Un team internazionale di astrofisici guidati dall’Università di Ginevra per quanto riguarda le osservazioni e dall’Università di Zurigo relativamente alle simulazioni hanno risolto questa incoerenza che sembra mettere in discussione la nostra conoscenza della formazione stellare quando studiamo il giovane Universo. La ricerca è stata pubblicata su Nature Astronomy.

Lo studio della nascita delle stelle si basa sul lavoro coordinato di vari team internazionali che realizzano osservazioni su scale differenti. Il telescopio Hubble, osservando galassie molto distanti, permette di studiare con grande dettaglio oggetti molto antichi.

Le osservazioni hanno portato gli scienziati a porsi domande fondamentali: nel lontano passato la formazione stellare era governata da leggi o condizioni fisiche differenti? Questo è ciò che apparentemente suggerivano i dati di Hubble nel momento in cui le osservazioni hanno rivelato la presenza di gigantesche regioni di nascita stellare, addensamenti di gas e stelle che raggiungono dimensioni di 3000 anni luce, un migliaio di volte più grandi di quelle osservate nell’Universo locale. E sembra che questi giganteschi addensamenti siano presenti ovunque nelle galassie molto distanti.

La distanza che ci separa da questi oggetti impedisce la loro osservazione dettagliata, ma gli astronomi hanno aggirato questa difficoltà sfruttando il fenomeno della lente gravitazionale, uno strumento potente offerto dall’Universo stesso. Il telescopio ha puntato nella direzione di un oggetto estremamente massiccio in grado di deviare il percorso della luce proveniente da una galassia più distante situata alle sue spalle. La luce viene deviata dall’oggetto massiccio, creando così immagini multiple e amplificate della galassia. “L’immagine amplificata è più precisa, luminosa e ci permette di osservare dettagli oltre 100 volte più piccoli”, spiega Antonio Cava, a guida dello studio.

Il fatto che l’immagine della galassia sorgente sia ripetuta 5 volte a diverse risoluzioni permette, per la prima volta, di realizzare un confronto diretto e di stabilire la struttura intrinseca e la dimensione dei giganteschi addensamenti in cui nascono nuove stelle. Invece che concludere che nel giovane e distante Universo vigessero leggi differenti, il team ha scoperto che nel giovane Universo le condizioni in merito erano simili a quelle attuali e che gli enormi addensamenti non erano in realtà così grandi e massicci come suggerivano le precedenti osservazioni di Hubble, ma che erano intrinsecamente più piccoli o composti da molteplici componenti ridotte come massa e dimensione, un qualcosa che non era mai stato possibile provare direttamente.

Si tratta di un passo avanti fondamentale verso la comprensione dei meccanismi che guidano la formazione stellare nelle galassie più antiche, anche se lo studio non permette ancora la completa comprensione di alcune differenze osservate rispetto alle galassie locali. “Abbiamo ridotto le differenze tra ciò che osserviamo nel vicino Universo e nelle galassie remote da un fattore 1000 ad un fattore 10”, afferma Daniel Schaerer dell’osservatorio di Ginevra. Le osservazioni e le simulazioni suggeriscono che le restanti differenze possano essere spiegate dalla natura turbolenta delle antiche galassie.
[ Barbara Bubbi ]

https://www.sciencedaily.com/releases/2017/11/171113111123.htm

Credit: ESA/Hubble, NASA, A.Cava