Il Blazar più Estremo

Il Blazar più Estremo

Un team di ricercatori italiani ha scoperto il blazar più distante mai osservato, risalente a un’epoca in cui l’Universo aveva meno di un miliardo di anni. Il motore centrale che alimenta la luminosità incredibile dell’oggetto è un buco nero supermassiccio con massa un miliardo di volte quella solare, che divora attivamente materia generando getti relativistici tanto brillanti da rendersi visibili a distanze estreme.

Il blazar, chiamato PSO J030947.49+271757.31, è stato scoperto da un team guidato da Silvia Belladitta dell’Università dell’Insubria, che sta svolgendo la tesi presso l’INAF di Milano, sotto la supervisione di Alberto Moretti e Alessandro Caccianiga. Grazie a osservazioni effettuate con il Large Binocular Telescope (LBT) il team ha confermato che l’oggetto, già individuato in banda X dal telescopio Swift, detiene attualmente il record di blazar più distante tra quelli noti nel cosmo.

I blazar appartengono a una classe di oggetti chiamati nuclei galattici attivi (AGN, Active Galactic Nuclei), costituiti da buchi neri supermassicci annidati al centro di galassie e circondati da un disco di gas e polveri che li nutre e che produce emissione visibile a molte lunghezze d’onda. Simili oggetti possono servire come laboratori naturali per studiare fenomeni estremi, come il comportamento e la fisica dei buchi neri e dei loro getti. Gli astronomi ritengono che le emissioni ad alta energia dei blazar siano alimentate da materia riscaldata e fatta a pezzi quando cade da un disco di accrescimento verso un vorace buco nero supermassiccio. Una piccola parte di questo materiale in caduta viene reindirizzato in getti di particelle che si dirigono verso l’esterno in opposte direzioni, quasi alla velocità della luce. I blazar appaiono brillanti in tutto lo spettro luminoso, dal momento che nel caso dei blazar il getto relativistico è allineato con la linea di vista dell’osservatore.

In particolare questo blazar è uno dei più remoti tra quelli non oscurati da polveri, come accade invece per la maggior parte dei nuclei galattici attivi. Questa caratteristica permette agli astronomi di studiare l’oggetto estremo in tutto lo spettro elettromagnetico, ottenendo una visione completa delle sue proprietà. “Lo spettro apparso ai nostri occhi ha confermato per prima cosa che PSO J0309 + 27 è davvero un AGN, una galassia il cui nucleo centrale è estremamente brillante a causa della presenza, nel suo cuore, di un buco nero supermassiccio che si alimenta con il materiale circostante che divora”, spiega Belladitta, a guida dello studio pubblicato su Astronomy & Astrophysics. “In aggiunta i dati ottenuti con il LBT, ricavando il suo redshift dal valore record di 6,1, mai misurato prima per un simile oggetto, hanno confermato che PSO J0309 + 27 è estremamente distante da noi”. Ad oggi, PSO J0309 + 27 si rivela la sorgente radio persistente più potente nell’Universo primordiale, oltre ad essere, come dimostrato dai dati del satellite Swift, la sorgente cosmica più brillante nei raggi X a quelle distanze estreme.

“Osservare un blazar è estremamente importante, dal momento che per ogni sorgente di questo tipo scoperta, sappiamo che devono essercene un centinaio simili, ma orientate in maniera differente rispetto a noi e pertanto troppo deboli per essere rilevate”, chiarisce Belladitta. La scoperta di PSO J0309 + 27 permette agli astronomi di quantificare il numero di nuclei galattici attivi dotati di getti relativistici nel giovane Universo. In effetti, i blazar presenti in epoche così remote rappresentano i “semi” di tutti i buchi neri che esistono nell’Universo locale. “Grazie a queste nuove osservazioni del LBT, ancora in fase di analisi, stimiamo che il motore centrale che alimenta PSO J0309 + 27 sia un buco nero con massa pari a un miliardo di volte quella solare. Grazie alla nostra scoperta, siamo in grado di affermare che già nel primo miliardo di anni di vita del cosmo esisteva un gran numero di buchi neri molto massicci che emettevano potenti getti. Questo risultato pone vincoli stringenti sui modelli teorici che si propongono di spiegare l’origine di questi enormi buchi neri nel nostro Universo”, conclude Belladitta.

Nell’immagine rappresentazione artistica di un blazar
Credit: Marscher et al., Wolfgang Steffen, Cosmovision, NRAO/AUI/NSF(PhysOrg.com)

http://lbtonews.blogspot.com/2020/03/wheres-theres-one-theres-one-hundred.html