Musica e Astrofisica

Musica e Astrofisica

Non servono definizioni per la musica. Diceva Bach “la musica aiuta a non sentire dentro di noi il silenzio che c’è fuori”. L’universo è tutt’altro che silenzioso. L’osservazione del cielo induce in tutti noi stati d’animo contrastanti: da un lato ammirazione e stupore per la bellezza degli astri e dall’altro timore, reverenza e a volte sgomento per l’immensità e il senso di infinito.

Ricordate “L’infinito” di Leopardi ? Guardi il cielo e ti vengono a raffica domande: se ti giungono risposte, a volte sono inquietanti. Ti senti l’anello finale di una lunga fila di pensieri: scientifici, filosofici, religiosi in particolare. Forse l’atteggiamento migliore è quello del bambino che non si spaventa e fa domande, ingenuo e desideroso. Possiamo iniziare un viaggio meraviglioso e non chiederci perchè siamo qui, ma come siamo arrivati fin qui. Dal perchè al come: un cambio di passo, di paradigma.

Penso che la musica mi aiuterà perché è in me, in tutti noi e negli astri: ha radici antiche che nascono con Pitagora nel VI secolo a.C., e continuano con Keplero nel ‘600, dopo avere attraversato Medioevo e Rinascimento. Seguitando le idee dei pitagorici, l’uomo per istinto naturale sa usare la propria voce e osservare la divina proporzione nell’armonia generale dei moti celesti: Saturno fa il basso insieme a Giove, Marte è il tenore, Venere il contralto, Mercurio il soprano.

Johannes Kepler (Keplero), riprendendo la musica delle sfere, ripropone la musica degli astri (per lui sono i pianeti). Si chiede: i pianeti hanno un’anima? Le loro orbite sono in relazione con le note musicali? Il miope Keplero non avrebbe distinto una stella da una lucciola. La sua è un’epoca in cui convivono magia, superstizione, religione, scienza, poteri occulti, astronomia ed astrologia. Lui stesso si guadagnava da vivere facendo oroscopi. Le sue leggi sui pianeti riconciliano la visione emergente del sistema copernicano, svelato pochi decenni prima, con l’antico concetto pitagorico di armonia universale. La diversa velocità dei pianeti quando sono più vicini o più lontani dal Sole sono da Keplero espresse come rapporti di intervalli musicali.

In un recente studio gli scienziati descrivono i pianeti nel sistema TRAPPIST-1 come parte di una “catena di risonanza” in grado di stabilizzare il sistema, una sorta di armonia reciproca in cui ogni pianeta svolge il suo compito come fosse parte di una grande orchestra, un’armonia basata su rapporti numerici determinati.

Gli astri si muovono nel cielo seguendo sequenze di armonie organizzate, con una complessa geometria rispondente a regole musicali: un’armonia polifonica in perenne mutamento, per la quale i movimenti dei corpi celesti (pianeti, sole, luna) produrrebbero una sorta di musica universale non udibile dall’orecchio umano, ma consistente in concetti armonico-matematici: tutto l’universo viene immaginato come un enorme sistema retto da proporzioni numeriche nei movimenti degli astri.

Questa musica degli astri approda in tempi più recenti alla musica classica in genere e a quella moderno-contemporanea con un variegato uso di tecniche strumentali ( percussioni, piatti, fiati, corde,…). Mi colpiscono due idee e due storie più moderne.
1) Cento anni fa un giovane, dal passato scolastico un po’ burrascoso, impiegato in un lavoro con poche prospettive e dopo aver pensato di suonare il violino per strada per fare qualche marco, se ne esce con l’idea che nell’universo lo spazio e il tempo sono un tutt’uno e che i corpi celesti sono intimamente legati a questo tessuto spazio-temporale, ossia, si parlano: la materia dice allo spazio come curvarsi e lo spazio dice alla materia come muoversi. Siamo immersi in un gigantesco mollusco che si flette, ondeggia, si torce. Avete capito che sto parlando di Albert Einstein.

2)Seconda storia. Pochi decenni fa abbiamo scoperto il vagito dell’universo, la testimonianza di cosa gli è successo quando aveva solo 380.000 anni di vita e dovevano ancora formarsi quelle galassie che vediamo oggi. Una radiazione del fondo cosmico, mentre la temperatura di quella cosa che chiamiamo universo iniziale, era diminuita dai miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di gradi a soli 3.000 gradi e che oggi troviamo talmente stanca, dopo un viaggio durato 14 miliardi di anni, che ci appare freddissima: una temperatura di soli 3 gradi superiore a quella dello zero assoluto. Lo scienziato ha convertito quella luce primordiale, quella radiazione, in suono. Per la nostra migliore comprensione, perché il suono lo percepiamo meglio e a noi umani apre più ampie sintonie della luce. Il suono diventa musica.

Un’operazione complessa, computerizzata.
Si sa che il suono è il risultato di una propagazione di onde acustiche nell’aria o comunque in un mezzo fisico che abbia una certa densità. Tutti sapete che nello spazio vuoto le onde sonore non possono propagarsi. Di norma, infatti, nell’universo è così. Tuttavia, vi sono eccezioni e comunque noi umani abbiamo assolutamente bisogno di adattare quei fenomeni misteriosi di luce a umane comprensioni e stimoli cerebrali tutti nostri.

Come posso “ascoltare”, nel senso umano del termine, gli eventi di luce del cosmo? In ogni caso, le sonorità musicali che potete ascoltate nel web (attenti però alle taroccature) sono in genere delle “trascrizioni elettroniche” di eventi basati sul fatto che ogni massa dell’universo (pianeta, satellite, il sole, ecc…) emette radiazioni elettromagnetiche che vengono captate dalle sonde spaziali e opportunamente convertite in suono per la nostra comprensione generale. Le rotazioni dei corpi, le cariche elettriche associate (molti di loro hanno masse metalliche centrali che ruotano), i campi magnetici, gli sbuffi di plasma (come nel Sole), ecc…. sono registrati come segnali elettromagnetici e convertiti in suoni.

Movimenti di rotazione/rivoluzione e le caratteristiche dei vari pianeti generano campi elettromagnetici, che a loro volta generano onde radio, diverse da pianeta a pianeta, in generale da astro ad astro. Ed è questo che riusciamo a captare e rendere come sonorità: se è ben vero che nel vuoto il suono non si propaga è altresì vero che le onde elettromagnetiche possono liberamente farlo. Quello che facciamo è captare campi e onde elettromagnetiche e quindi convertirli in suoni.

Esempio. Il suono della Terra nel suo movimento intorno al Sole è un DO Diesis, ma è talmente basso che non potremmo udirlo: è posto 29 ottave più in basso del DO centrale (a circa 4,7 metri a sx dello sgabello del pianoforte). Venere è un LA, Marte un RE a meno 30 ottave, Giove un FA Diesis a meno 33 ottave, e così via. Il suono dell’intero sistema solare va accelerato di 68 miliardi di volte (pari a 36 ottave) per essere udito dal nostro orecchio.

Come posso giovarmi di queste scoperte? La moderna astrofisica, nata nell’800 e oggi sempre più in sviluppo, si occupa di stelle che nascono, esplodono, muoiono, di pianeti in moto risonante con i loro satelliti, buchi neri, echi del Big-Bang, onde gravitazionali nascenti dalla cannibalizzazione di buchi neri. La proposta di un loro legame deve muovere quindi da una presentazione sinestetica delle armonie suggerite dalle conoscenze del cosmo, ricordandone e superandone le radici pitagoriche e la visionarietà mistica kepleriana in favore di nuovi e moderni collanti estetico-scientifici.

Infatti, sarebbe interessante, ma banale, associare semplicemente, come a volte si fa, oggetti celesti a traduzioni musicali con pezzi noti di vari compositori.
Intendo dire che è forse riduttivo associare ad esempio un notturno di Chopin ad una diapositiva con l’immagine dell’amorosa Luna, oppure la frenesia delle percussioni alla diapositiva di una stella pulsante morente. Diverso è interpretare come l’universo suggerisca cose nuove e composizioni originali, dove i grandiosi fenomeni coinvolti e la relatività spazio-temporale segnano profondamente i nostri pensieri sino a indurci a identificare i suoni come mezzo di espressione della complessità e della bellezza a volte terrificante del cosmo.

Deve trattarsi di una ricerca mirata, dove musicista e scienziato coniughino nuovi e meditati motivi d’ispirazione sinestetica. La composizione di Holst (Suite “I pianeti”) del 1914 già si muove in questa linea, pur nel recupero dei miti e delle attribuzioni mistiche ai pianeti (Venere-portatrice di pace, Mercurio-messaggero alato, Marte-portatore di guerra, Giove-portatore di gaiezza, Saturno-portatore di vecchiaia, Urano-il mago, Nettuno-il mistico). Pianeti, come portatori di stati d’animo ed eventi, come personificazioni di qualcosa di terrestre.  Così riusciremo a viaggiare avanti e indietro nel tempo, alla ricerca delle verità dell’universo (se ne esistono), lungo le geodetiche dello spazio-tempo che si allontanano in ogni direzione, scintillanti come rotaie. Viaggeremo su un effimero raggio di luce, passeremo accanto a mondi turbinosi e silenti, alle fornaci dove l’idrogeno si tramuta in elio, vedremo le vertiginose pareti a imbuto dei buchi neri, la luce abbacinante delle supernove, gli splendidi sciami delle comete, il cosmico otto volante che segue la curvatura dell’universo.

Facciamo un esempio. Ascoltiamo a diverse velocità la cosiddetta Eco del Big Bang, che origina una musica che ci ricorda sensazioni auricolari di un aereo prima in avvicinamento e poi in allontanamento. Un buon tastierista potrebbe trafficare sulla sua consolle ed avvicinarsi a riprodurre tali sensazioni. Ma adesso le cose sono diverse, perché stiamo ascoltando il vagito dell’Universo, il fenomeno reale di quasi 14 miliardi di anni fa, da cui è partita la prima luce che poi ci ha raggiunto oggi. Forza musicisti, datevi da fare!

Ecco quindi l’idea di proporre suoni nuovi, composizioni originali, nelle quali compenetrarsi per far parte anche noi dell’universo. Qui mi devo fermare perché fare musica con tutte queste idee in testa non è il mio mestiere, ma il loro.
[ Ivan Spelti ]

Nell’immagine: le galassie di questa coppia sorprendente assomigliano a note musicali su un pentagramma. Lunghe code mareali, evidenza di un’interazione, si estendono dalle due galassie. ESO 69-6 è localizzata nella costellazione del Triangolo Australe, a circa 650 milioni di anni luce dalla Terra.
Credit: NASA, ESA, the Hubble Heritage Team (STScI/AURA)-ESA/Hubble Collaboration and A. Evans (University of Virginia, Charlottesville/NRAO/Stony Brook University)