Buchi Neri Multipli nelle Fusioni tra Galassie

Buchi Neri Multipli nelle Fusioni tra Galassie

Un nuovo studio, basato sui dati in varie lunghezze d’onda dell’Osservatorio Chandra e di altri telescopi, rivela nuove informazioni sul destino dei buchi neri supermassicci durante le collisioni tra galassie. I risultati hanno rivelato la presenza di un singolo buco nero, quattro buchi neri doppi e una tripletta di buchi neri giganti in sei dei sette sistemi galattici presi in esame.

È importante conoscere meglio i processi in atto nelle collisioni tra galassie, perché le fusioni conseguenti rappresentano un meccanismo di crescita per le galassie e i buchi neri nel loro centro. “Sono stati pubblicati molti studi su ciò che può accadere ai buchi neri supermassicci durante la fusione tra galassie”, afferma Adi Foord della Stanford University, a guida dello studio. “Il nostro studio è uno dei primi a controllare in maniera sistematica ciò che accade ai buchi neri quando si uniscono tre galassie”. Il team ha identificato sistemi in cui si fondono tre differenti galassie incrociando gli archivi della missione WISE e della Sloan Digital Sky Survey con i dati di archivio del telescopio Chandra. Utilizzando questo metodo, i ricercatori hanno scoperto 7 fusioni galattiche triple, localizzate tra 370 milioni e un miliardo di anni luce dalla Terra.

Utilizzando un software adatto allo scopo, il team ha poi analizzato i dati di Chandra relativi a questi sistemi per rilevare sorgenti di radiazione X che segnassero la posizione di buchi neri supermassicci attivi. Man mano che il materiale precipita verso le fauci di un buco nero, viene riscaldato a milioni di gradi e produce radiazione X. Dal momento che spesso sorgenti di raggi X di questo genere sono vicine tra loro nelle immagini e piuttosto deboli, l’utilizzo del software sviluppato allo scopo si è rivelato risolutivo. In seguito il team ha utilizzato dati di altri telescopi per escludere altre possibili sorgenti di radiazione X non riconducibili a buchi neri. Come risultato, i ricercatori ha scoperto che, tra i sette sistemi di fusione tripla tra galassie, uno probabilmente ospita un singolo buco nero in crescita, quattro sono caratterizzati da due buchi neri in crescita e uno da tre buchi neri attivi. L’ultimo insieme non presenta emissione di raggi X derivante da buchi neri supermassicci. Nei sistemi con molteplici buchi neri attivi, la separazione tra i divoratori cosmici varia tra 10.000 e 30.000 anni luce.

Le immagini contengono dati relativi a due delle sette fusioni galattiche studiate. I relativi sistemi sono visti nei raggi X da Chandra (a sinistra, in viola) e nell’ottico da Hubble e dalla Sloan Digital Sky Survey (a destra). Credit: X-ray: NASA/CXC/Univ. of Michigan/A. Foord et al.; Optical: SDSS & NASA/STScI

Una volta individuate le sorgenti di radiazione X come candidati buchi neri in crescita, i ricercatori hanno preso in esame dati di altri telescopi, come WISE, l’Infrared Astronomical Satellite, e il Two Micron All Sky Telescope, per controllare il tasso di formazione stellare nelle galassie oggetto dello studio. Questa analisi ha permesso di stimare quante tra le sorgenti di raggi X potessero essere riconducibili a sistemi contenenti stelle massicce, piuttosto che a buchi neri attivi. Soltanto una delle sorgenti di radiazione X è risultata associabile a un insieme di sistemi stellari che emettono in banda X. I dati hanno inoltre dimostrato che i sistemi che ospitano buchi neri supermassicci in fase di crescita sono caratterizzati da quantità più elevate di gas e polveri. Studiare fusioni tra galassie può aiutare gli scienziati a indagare sul destino dei relativi buchi neri supermassicci. Durante questi eventi titanici, può accadere che i buchi neri si avvicinino tra loro così tanto da creare possenti onde gravitazionali, per poi fondersi insieme.

Nell’immagine quattro galassie in via di fusione riprese dal telescopio Hubble
Credit: NASA/ESA/Hubble Heritage Team/STScI/AURA/A Evans/University of Virginia/NRAO/Stony Brook University/K Noll/J Westphal

https://chandra.cfa.harvard.edu/press/21_releases/press_011421.html