Quando le Prime Stelle Illuminarono il Cosmo

Quando le Prime Stelle Illuminarono il Cosmo

Articolo di Lengua Nicole

Grazie a nuove analisi di dati del telescopio Hubble gli astronomi hanno scoperto che la formazione delle prime stelle e galassie avvenne in tempi insospettabilmente remoti. Le osservazioni, che si sono spinte fino a quando l’Universo aveva appena 500 milioni di anni, non hanno rivelato la presenza della prima generazione di stelle, che pertanto devono essere ancora più antiche.

L’esplorazione delle prime galassie rimane una vera e propria sfida per gli astronomi. Non sappiamo quando e come si siano formate le stelle primordiali. Un metodo per indagare sui processi in atto all’alba dei tempi è quello di utilizzare le osservazioni estremamente profonde di Hubble, che permettono agli scienziati di dare un’occhiata a ciò che accadeva quando il cosmo aveva un’età di poche centinaia di milioni di anni. Un team di ricercatori guidato da Rachana Bhatawdekar dell’ESA ha condotto un nuovo studio sulle stelle di popolazione III, le prime a risplendere nell’Universo, forgiate dalla materia emersa dal Big Bang. Simili stelle erano composte soltanto di idrogeno, elio e poco litio, gli unici elementi esistiti prima che i processi nel cuore delle stelle creassero elementi più pesanti, come ossigeno, azoto, carbonio e ferro. Il team ha utilizzato il telescopio Hubble per sondare l’Universo come appariva tra 500 milioni e 1 miliardo di anni dopo il Big Bang. Le osservazioni, che hanno coinvolto anche il telescopio Spitzer e il Very Large Telescope dell’ESO, hanno riguardato in particolare l’ammasso di galassie MACSJ0416.

“Non abbiamo trovato evidenze della presenza di stelle di prima generazione in questo intervallo di tempo cosmico”, spiega Bhatawdekar. I dati sono stati acquisiti utilizzando la Wide Field Camera 3 e l’Advanced Camera for Surveys a bordo di Hubble, nell’ambito del programma Frontier Fields, volto ad osservare sei lontani ammassi di galassie. Il progetto ha prodotto le osservazioni più profonde mai acquisite di ammassi galattici e delle galassie localizzate al di là degli ammassi, la cui luce viene amplificata della gravità dell’ammasso in primo piano, grazie alla lente gravitazionale. Questo fenomeno cosmico permette di catturare oggetti altrimenti troppo difficili da immortalare. In effetti, la possente gravità di grandi ammassi di galassie crea effetti di lente gravitazionale, permettendoci di viaggiare indietro nel tempo fino a raggiungere con lo sguardo galassie molto più distanti, poste alle spalle dell’ammasso. La luce di quelle remote galassie, lungo il viaggio, percorre tragitti differenti, venendo distorta e amplificata dalla presenza dell’oggetto che si interpone in primo piano. È possibile, grazie a questo aiuto fornito dalla natura, risalire indietro nel tempo e studiare oggetti estremamente remoti, per capire come si siano formate e siano evolute le prime galassie.

Il team ha sviluppato una nuova tecnica che rimuove la luce delle brillanti galassie in primo piano, riuscendo a scoprire galassie con masse più piccole rispetto a quelle osservate finora con Hubble, ad una distanza corrispondente a quando l’Universo aveva meno di un miliardo di anni. La mancanza di esotiche popolazioni stellari e l’identificazione di molte galassie di piccola massa in quel remoto periodo suggeriscono che le galassie individuate siano le responsabili della reionizzazione del cosmo. A quell’epoca gran parte dell’Universo era ancora avvolto in una nebbia opaca di freddo idrogeno gassoso. Quando si formarono sempre più stelle e galassie, la loro radiazione permise la ionizzazione dell’idrogeno intergalattico, liberando in questo modo dalle nebbie oscure l’Universo che osserviamo oggi.

Subito dopo il Big Bang, in effetti, l’Universo assomigliava a una zuppa cosmica di particelle calde ed estremamente energetiche. Dopo un’epoca, a cui spesso ci si riferisce come età oscura, in cui l’Universo era ricco di idrogeno neutro e privo di sorgenti luminose, si iniziarono a formare stelle e galassie, tanto da permettere ad un certo punto alla luce di filtrare attraverso la nebbia per ionizzare l’idrogeno neutro, dando il via all’epoca della reionizzazione. “Questi risultati hanno profonde conseguenze astrofisiche, dal momento che dimostrano che le galassie devono essersi formate molto prima del previsto”, conclude Bhatawdekar. “Questo supporta fortemente l’ipotesi che galassie deboli e di piccola massa nel giovane Universo siano state responsabili della reionizzazione”.

Nell’immagine l’ammasso di galassie MACS J0416, uno dei sei ammassi studiati nell’ambito del programma Frontier Fields
Credit: NASA, ESA, and M. Montes (University of New South Wales, Sydney, Australia)

https://www.spacetelescope.org/news/heic2010/